RINVIATO LO SFRATTO

November 24, 2010
Oggi pomeriggio il "Picchetto sicurezza" organizzato dallo sportello sociale
di Empoli è riuscito ad ottenere la proroga dello sfratto fino al 12 Gennaio
2011. Un rinvio giusto, che darà il tempo alla famiglia di trovare una nuova
abitazione, ottenuto ancora una volta grazie alla mobilitazione e alla
solidarietà attiva. Il fabbro avrà modo di operare il cambio della serratura
soltanto quando la famiglia sarà entrata in un'altra casa.
Ringraziamo tutti quelli che hanno partecipato e chi si è adoperato per la
ricerca di una soluzione non violenta al problema dello sfratto. Ringraziamo
anche la proprietaria che comprendendo la situazione e la buona volontà della
famiglia in difficoltà non si è opposta al rinvio.
Uniche grandi assenti, in tutta la vicenda, continuano ad essere
l'amministrazione comunale ed una politica abitativa a Montelupo.

RINVIATO LO SFRATTO Oggi pomeriggio il “Picchetto sicurezza” organizzato dallo sportello sociale di Empoli è riuscito ad ottenere la proroga dello sfratto fino al 12 Gennaio 2010. Un rinvio giusto, che darà il tempo alla famiglia di trovare una nuova abitazione, ottenuto ancora una volta grazie alla mobilitazione e alla solidarietà attiva. Il fabbro avrà modo di operare il cambio della serratura soltanto quando la famiglia sarà entrata in un’altra casa. Ringraziamo tutti quelli che hanno partecipato e chi si è adoperato per la ricerca di una soluzione non violenta al problema dello sfratto. Ringraziamo anche la proprietaria che comprendendo la situazione e la buona volontà

della

famiglia in difficoltà non si è opposta al rinvio. Uniche grandi assenti, in tutta la vicenda, continuano ad essere l’amministrazione comunale ed una politica abitativa a Montelupo.

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UNITI CONTRO GLI SFRATTI!

November 23, 2010

Annunciamo per domani Mercoledì 24 Novembre un “Picchetto Sicurezza” per stare al fianco di una famiglia che a Montelupo rischia lo sfratto. Si tratta della famiglia di Mbarek B. composta da padre madre e due figli piccoli, uno di due anni e l’altro di tre mesi. Convochiamo tutti e tutte, uniti contro gli sfratti e per il diritto alla casa, a Montelupo nel centrale Corso Garibaldi n. 23, con l’obiettivo di rinviare lo sfratto per il tempo necessario a trovare una nuova abitazione e permettere il passaggio da casa a casa evitando inutili traumi.
La famiglia, perfettamente inserita nel tessuto sociale cittadino, da dieci anni vive a Montelupo e Mbarek è anche volontario in alcune associazioni della città, ma si trova oggi come migliaia di altre famiglie italiane a dover fare i conti con una crisi senza precedenti.

La storia è sempre la stessa, si ripete. C’è la crisi. Famiglie che perdono il lavoro, non riescono a trovarne un altro e cominciano ad accumulare affitti non pagati. Automatica arriva la richiesta di sfratto.
C’è la crisi. Però questa crisi, causata da coloro che in maniera spregiudicata hanno giocato, facendo superprofitti, con la finanza, lascia intatte le ricchezze e si accanisce contro chi da sempre riesce a malapena a soddisfare bisogni essenziali come la casa.

Molte sono le case sfitte anche nel nostro territorio. Poi pensi: aumentano gli sfratti per morosità e i proprietari preferiscono tenere le case vuote piuttosto che proporre canoni d’affitto da tempo di crisi? C’è qualcosa che non va.
C’è la crisi. E chi nella giunta del sindaco Mori si dovrebbe occupare di questi problemi? Forse l’assessorato alla casa ci viene da pensare, insieme ai servizi sociali. Invece agli incontri con le istituzioni capita che ci sentiamo dire “ho visto un cartello affittasi in Empoli“. Questa è la politica abitativa del comune, lo denunciamo da tempo, delegare ai privati una questione sociale così importante come quella abitativa, strettamente legata al diritto ad una vita dignitosa.
I privati fanno ovviamente quello che vogliono, ma se succede che una famiglia oltre a subire la crisi, subire uno sfratto, si trova anche di fronte all’impossibilità di trovare qualcuno che gli affitti una casa? Magari perché non si affitta a stranieri?
Veramente, qualcosa non va!

Mbarek e la sua famiglia purtroppo rientrano nella statistica di chi a un certo punto, dopo otto anni di canone pagato regolarmente, non ha più potuto permettersi l’affitto.
Ma Mbarek, come tutti gli altri, non è un dato statistico. È una persona con la sua storia e la sua vita, i suoi sogni, i suoi diritti.

Il comune dice che “se la famiglia trova una casa” stanzierà un certo budget per il contratto, bene la famiglia la sta cercando disperatamente una casa nel mercato privato, ma siccome il budget è limitato, non possiamo permettere una permanenza in una struttura a 60 euro al giorno. Su questo conveniamo tutti, comune compreso: in pochi giorni se ne andrebbero tutti i fondi a disposizione e addio nuovo contratto. Per questo chiediamo a proprietà e ufficiale giudiziario di capire la situazione e prorogare i termini dello sfratto del tempo necessario. Per questo invitiamo il comune ancora una volta a mettere in campo delle politiche sociali adeguate al tempo della crisi.
Domani saremo tutte e tutti a Montelupo per rinviare questo ennesimo sfratto!

UNITI CONTRO LA CRISI, UNITI CONTRO GLI SFRATTI!

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Lavora, riproduci, taci

June 20, 2010

La crisi e
l’attacco ai diritti


1.
Il ritorno della Manchester dell’800

 

La
vertenza in corso nello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco
presenta alcuni elementi noti e insieme aspetti nuovi. Utilizzando il
classico strumento del ricatto dei licenziamenti (la minaccia della
chiusura dell’impianto con delocalizzazione in Polonia), la Fiat
pretende di ottenere l’aumento del numero dei turni fino a 18, la
riduzione della pausa mensa, la rinuncia preventiva al diritto di
sciopero. In tal modo, sulla pelle degli operai, può essere
mantenuta la promessa dei vertici aziendali di aumentare la
produzione italiana (1 milione e 400.000 vetture).

Le
richieste della Fiat sono, dicevamo, antichissime: si intensifica lo
sfruttamento (al punto che chi finisce il proprio turno in
carrozzeria alle 14 deve ripresentarsi in fabbrica alle 6 della
mattina seguente), si rinuncia a qualsiasi forma di conflitto, si
accetta la totale subalternità del lavoro alle logiche
padronali. In altre parole, un ritorno alle fasi del primo
capitalismo post rivoluzione industriale. Ma con una differenza
sostanziale, però: le nuove tecnologie informatiche invece di
concentrare la produzione in un unico posto, consentono
un’organizzazione modulare e reticolare del lavoro e della filiera
produttiva, con ovvi effetti di frammentazione e segmentazione
spaziale del ciclo produttivo.

Con
ciò ci si assicura l’impossibilità del sindacato ad
agire forme di organizzazione, con esiti paradossalmente peggiori a
quelli dei primi decenni della rivoluzione industriale, quando
addirittura il sindacato non esisteva e si assisteva alla nascita
delle prime sperimentali strutture autorganizzative dei lavoratori.
L’inefficienza dell’azione sindacale si spiega oggi dentro una
complessità che vede la totale soggezione di Cisl e Uil (oltre
il limite della decenza), il tentativo di semplice resistenza (almeno
a parole) della Cgil e le risposte più attive ma ininfluenti,
del sindacalismo di base. In nessun caso noi osserviamo la capacità
di rilanciare il conflitto su basi propositive e innovative.

E’
quindi necessario discutere le pratiche politiche per creare
situazioni di vertenzialità rivendicativa. Nel concreto,
cerchiamo di tradurre, ancora una volta, di insistere, di ripetere:
oggi il luogo di produzione è il territorio, la produzione è
sempre più produzione reticolare e di subfornitura, le
condizioni di vita sono le condizioni del lavoro (la precarietà
è una condizione esistenziale), la remunerazione del lavoro
(ieri salario) oggi tende ad essere remunerazione di vita (continuità
di reddito incondizionato). Occorre tradurre tutto ciò in una
vertenza sociale nei confronti di chi (imprese, municipalità,
stato, istituzioni europee) gestisce, comanda e coordina le strutture
che mettono in pratica le strategie di controllo del sistema
produttivo e le varie forme di speculazione territoriale e/o
finanziarie. In altre parole, è sempre più impellente
organizzare il conflitto non solo nel singolo posto di lavoro, ma
all’interno di tutta la struttura territoriale e sociale della
filiera.

2.
Quando l’uguaglianza fa comodo

L’obbligo
europeo di rispettare il pari trattamento tra uomini e donne in tema
di età pensionabile viene immediatamente preso a pretesto dal
governo italiano per innalzare l’età della pensione per le
lavoratrici del pubblico impiego. Da un punto di vista teorico,
decontestualizzato, potrebbe non esserci nulla da eccepire. Ma se
svolgiamo un’analisi comparata a livello europeo riguardo il tempo
di lavoro complessivo svolto dalle donne, ci accorgiamo che per le
donne italiane il tempo medio giornaliero di lavoro retribuito è
pari effettivamente a circa la metà di quello maschile (2 ore
e 6’ contro i le 4 ore e 26’ dei maschi), di poco al di sotto
della media europea, ma il tempo di lavoro non retribuito (di cura e
domestico) risulta pari a 5 ore e 20’, quasi quattro volte quello
maschile (1 ora e 35’): un divario che è mediamente il
doppio di quello riscontrabile a livello europeo. Ne consegue che il
tempo complessivo di lavoro femminile al giorno (retribuito e non
retribuito) risulta mediamente superiore a quello maschile ed è
il più elevato a livello europeo (dati Eurostat, “A
statistical view of the life of women and men in the Eu25”, 2008,
riportati nella Tab. 3, pag. 121 in C. Morini, “Per amore e per
forza”, Ombre Corte, Verona, 2010). Le ragioni di tale situazione
sono note: in Italia, a differenza di molti paesi europei, non esiste
una struttura di welfare adeguato (in termini di strutture e servizi)
tale da consentire una ripartizione del carico di lavoro domestico e
di cura dei figli in modo paritario tra uomini e donne. In
particolare, tale divisione di compiti appare più marcata non
tanto nelle fasce giovanili (per le quali, si registra più o
meno un pari tempo di lavoro retribuito tra uomini e donne), ma nel
momento in cui si fanno figli, a conferma che oggi in Italia
coniugare produzione e riproduzione è di fatto impossibile:
almeno finché non si introducono garanzie di stabilità
e continuità di reddito in grado di consentire una

libera
scelta di vita.

Un intervento di Giuliano Cazzola
su lavoce.info,
qualche tempo fa, già metteva in guardia dall’idea di
innalzare l’età della pensione di vecchiaia delle donne. E
non solo in base ai pur giusti ragionamenti che abbiamo sopra
affrontato e che riguardano la particolare condizione della donna nel
lavoro e nella famiglia. Il punto centrale è che una norma
siffatta introdurrà soltanto un tasso di iniquità
estremamente elevato nel sistema dove è assolutamente
minoritario il numero delle lavoratrici in grado di maturare, in
conseguenza delle loro storie lavorative frammentarie – piene di
buchi perché magari per un po’ hai smesso per avere un
figlio, perché hanno storie più facilmente precarie – i
requisiti contributivi (35 anni di versamenti) indispensabili per
aver diritto alla pensione di anzianità. E’ più
facile – di norma – per le donne varcare la soglia dei 60 anni di età
e accedere al trattamento di vecchiaia (per il quale bastano 20 anni
di contributi). Finirà perciò per determinarsi il
paradosso per cui gli uomini andranno in pensione a 57-58 anni
(potendo raggiungere, entro quella soglia, i relativi requisiti
contributivi di anzianità lavorativa), mentre le donne
dovranno attendere il limite imposto dalla vecchiaia (i 65 anni
europei, in nome dell’eguaglianza).

A fronte di questa situazione, la
richiesta di aumentare l’età lavorativa delle donne del
pubblico impiego in nome della parità di genere appare del
tutto strumentale. Essa, di fatto, nasconde altri intendimenti. E’
facile attendersi, che sempre in nome della parità (questa
volta non di "genere", ma di trattamento pensionistico),
l’età della pensione verrà aumentata a 65 anni anche
per le lavoratrici del settore privato. Lo scopo è, in nome
della stabilità di bilancio, ridurre la spesa pensionistica,
come richiesto in questi mesi dalla Commissione Europea e dal Fmi,
magari favorendo la pensione integrativa privata per dare nuova linfa
agli attuali asfittici mercati finanziari. Inoltre, appare del tutto
fuori luogo l’entusiasmo della Confindustria per tale misura, dal
momento che sono proprio le organizzazioni padronali a chiedere
sempre più massicci pre-pensionamenti a carico della
collettività per ridurre i propri costi e ottenere incrementi
di profitto. L’esito, infine, è quello di ridurre il
turn-over tra giovani e anziani, diminuendo la possibilità di
avviare posti stabili e quindi favorendo la crescita di una
condizione di precarietà già oggi insostenibile.

*
* * * *

Le
due situazioni trattate appaiono molto diverse tra loro, ma c’è
un elemento che le collega: la necessità di ripensare un
sistema di sicurezza sociale e di welfare, di natura universalistica,
in grado di essere adeguato alle variegate e frammentate realtà
sociali e di lavoro. Con la crisi del paradigma fordista, il rapporto
tra situazione lavorativa e sicurezza sociale è
drammaticamente cambiato. Avere un contratto di lavoro a tempo
indeterminato (magari con la possibilità di accedere ad una
qualche forma di ammortizzatore sociale) oggi non garantisce più
nulla. Lo sanno bene le migliaia di operai di Pomigliano d’Arco
come delle numerose fabbriche del Nord e del Sud chiuse, smantellate
e ridotte. La precarietà è generalizzata. Lo sanno bene
anche quelle donne costrette a scegliere tra il mantenimento di un
posto di lavoro e la voglia di esaudire il desiderio di maternità
(magari ripagato da cinque anni di lavoro in più). Ecco come
la precarietà “si fa” esistenziale.

Se
la sicurezza sociale e i diritti di vita sono subalterni alla
condizione lavorativa e quest’ultima è sempre più
precaria al punto di non garantire più condizioni dignitose di
vita anche per chi è occupato, allora, è chiaro che il
livello di ricattabilità è talmente alto da non
permettere una qualche forma di re/azione conflittuale. E’ questa
la catena perversa che occorre spezzare. Per poter modificare i
rapporti di forza, oggi sfavorevoli, nel mercato del lavoro, è
quindi necessario intervenire per fornire una rete di sicurezza
sociale che riduca il grado di ricattabilità materiale e
culturale che oggi attanaglia buona parte della forza-lavoro,
soprattutto precaria.

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Ancora uno sfratto con la forza pubblica!

June 4, 2010

Oggi, venerdì 4 giugno un’altra famiglia di Empoli, residente in via Meucci 73, rischia di trovarsi sulla strada a causa di uno sfratto. Nella stessa giornata è previsto un tavolo istituzionale che dovrebbe  occuparsi di tale vicenda. Come sportello sociale COBAS Empoli-Valdelsa e ORDA PRECARIA rivolgiamo un ulteriore pressante appello affinchè si scongiuri l’ennesima azione di forza e si garantisca una soluzione adeguata alla famiglia.
Da circa tre anni denunciamo nella sostanziale indifferenza la mancanza di una visione strategica nelle politiche abitative e ancora una volta ci troviamo a fronteggiare l’ennesima emergenza.
La storia di questa famiglia è quella di chi fortunatamente è riuscita a mantenere l’unica fonte di reddito da lavoro dipendente ma, come tante altre, non è in grado di far fronte ad un canone che assorbe oltre il 70% del proprio reddito. E’ la tipica famiglia media (marito, moglie, due figli) che subiscono il rischio quotidiano di uno sfratto o di un pignoramento dopo anni di lavoro e sacrifici, a causa di un mercato fuori controllo che ha prodotto un aumento dei canoni di locazione del 72% negli ultimi otto anni. E’ uno dei paradossi più drammatici di un paese, l’Italia, dove oltre 150.000 famiglie subiranno uno sfratto entro il 2011, mentre una casta politico/imprenditoriale senza scrupoli se la gode ottenendo case a quattro soldi nei posti più esclusivi. Sembra il paese di Bengodi, con la classe politica meglio retribuita ed una spesa sociale pressochè inesistente: appena 3,3 euro pro capite contro i 53,3 euro della Germania e i 214 euro della Francia.

Il nostro auspicio è che l’amministrazione empolese offra una soluzione adeguata alla vicenda, garantendo un immediato passaggio da casa a casa che eviti lo smembramento della famiglia e la proposta di un affitto congruo e commisurato alle loro possibilità economiche.

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Sottoscriviamo e pubblichiamo l’appello alle istituzioni pisane per risolvere l’emergenza abitativa delle famiglie di Via Marsala

June 1, 2010

Pisa, 31 Maggio 2010

Il dato più inquietante
della vicenda di via Marsala e delle otto famiglie che da tre mesi
cercano una soluzione abitativa dignitosa è la sordità delle
Istituzioni.

Dopo essere state
sgomberate ed essersi accampate con le tende in Largo Ciro Menotti in
mancanza di alternative e per rivendicare il diritto alla casa,
l’unica risposta che le famiglie hanno ricevuto dall’amministrazione
comunale di Pisa è una comunicazione del comando di Polizia Municipale che intima lo sgombero degli sfollati e del presidio di
solidarietà entro lunedì 31 Maggio.

Eppure in poco più di
tre giorni già 1300 persone hanno firmato un appello a sostegno
delle famiglie e del loro sciopero della fame, chiedendo al Sindaco
di trovare una soluzione tempestiva all’emergenza abitativa.
Un’emergenza di cui oggi le famiglie di via Marsala sono il simbolo
più evidente, ma che accomuna centinaia, se non migliaia, di
cittadini colpiti dalla crisi che già si trovano o rischiano di
trovarsi a breve nella stessa condizione.

Le istituzioni cittadine
non possono e non devono ignorare quest’appello, disconoscendo la
domanda di diritti fondamentali e trincerandosi dietro questioni di
ordine pubblico e di decoro.

Per questo chiediamo che
la vergogna di un ulteriore sgombero venga evitata e che le
istituzioni comunali rompano il silenzio, riprendendo le trattative e
dando seguito ai ripetuti inviti alla ragionevolezza e al dialogo che
sindacati inquilini, partiti, associazioni, nonché tutti i
capigruppo del Consiglio Comunale hanno espresso in questi giorni.

Lo stesso Consiglio
Comunale aveva riconosciuto l’emergenza abitativa delle famiglie con
una mozione del 15 aprile, in cui rivolgeva “un pressante appello
all’autorità competente” affinché non si adottassero misure di
forza nei confronti degli occupanti. Oggi che otto famiglie vivono
nelle tende in mezzo alla strada questa emergenza si fa ancora più
cruda e dolorosa.

Se democrazia,
solidarietà e diritti non sono parole vuote, la legalità che deve
essere ripristinata in primo luogo è quella di trovare una soluzione
dignitosa e dare un tetto a famiglie e bambini che da sei giorni
vivono in strada.

More info su AUT-AUT Pisa.

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SFRATTO ESEGUITO CON LA FORZA PUBBLICA, LA LOTTA CONTINUA

April 21, 2010

Stamattina è stato eseguito lo sfratto a Montelupo, manu militari. E’
stato eseguito un atto di violenza, in quanto non è stata garantita dal
comune un’alternativa, un passaggio da casa a casa, e da oggi la
famiglia, con una bimba piccola, non avrà un posto dove andare.
Abbiamo provato in tutti i modi a trovare una soluzione dignitosa a
questa difficile faccenda, accompagnando la famiglia agli incontri con
l’amministrazione comunale, organizzando picchetti sicurezza in modo da
stimolare le istituzioni preposte a trovare una soluzione, anche
emergenziale; ma oggi di fronte ad un inutile schieramento delle forze
dell’ordine (non si risolvono certo così le problematiche sociali)
abbiamo deciso di non mettere a rischio l’incolumità della famiglia, né
la nostra.
Al proprietario diciamo, come sempre, che il suo diritto a rientrare in
possesso dell’immobile non lo abbiamo mai messo in discussione. Non è
in discussione però, per quanto ci riguarda, nemmeno il suo ruolo di
speculatore su un bisogno primario per tutte le persone come quello
della casa: chiedere 650 euro per due stanze ammuffite è un furto,
neanche tanto legalizzato visto che 100 euro erano a nero. E oggi fa la
vittima e parla di legalità ripristinata, ma lasciamo perdere, questo
non è un discorso che ci appassiona.


La prima responsabile di questo atto di violenza è l’amministrazione
comunale montelupina. Il comune ha offerto soldi per pagare una casa
famiglia a Ponte a Cappiano con divisione della madre e della bimba dal
padre, soluzione questa non accettata dalla famiglia, che nella
divisione vede un ulteriore aggravarsi della propria condizione
sociale, anche per il fatto che essa non garantisce assolutamente
niente una volta finiti i soldi messi a disposizione. Un’"alternativa"
sarebbe stata quella di trovarsi una casa nel mercato privato e di
usare i soldi stanziati per fare il contratto d’affitto, ma a chi non
ha un lavoro stabile, a chi è costretto a tirare avanti con lavori
saltuari e a nero (cioè ad una parte sempre più grande della
cittadinanza), a chi non ha una famiglia dietro le spalle che possa
garantire, i contratti d’affitto non li fanno, e questo il comune lo sa
benissimo.
La Misericordia ha addirittura proposto delle case per l’emergenza
sfratti, se solo il comune di Montelupo avesse accettato di fare da
garante come fanno molti altri comuni del circondario, Empoli in
primis, ma l’amministrazione non ha ritenuto praticabile questa strada.
Non sarebbe stata la cura di tutti i mali, ma questa opzione avrebbe
sicuramente garantito un passaggio degno da casa a casa alla famiglia
unita, e per 18 o più mesi avrebbe garantito un tetto nell’attesa di
risollevare la propria condizione economica.
Invece ci troviamo oggi, a Montelupo, primo comune nel circondario a
permettere uno sfratto manu militari di una famiglia in difficoltà, di
fronte ad un pericoloso precedente: in piena sintonia con il crescere
del leghista-pensiero nazionale anziché (come ci saremmo aspettati) in
controtendenza, le questioni sociali si risolvono con le forze
dell’ordine. Le questioni sociali a Montelupo non si affrontano, la
cosiddetta sinistra fa la gnorri, e una famiglia migrante da dodici
anni inserita nel tessuto sociale montelupino si trova per strada.


A seguito dello sfratto forzato abbiamo deciso di sostenere la lotta
della famiglia per il diritto alla casa e ad una vita dignitosa,
accompagnandola e sostenendola in un presidio davanti al comune. Appena
arrivati siamo entrati per chiedere un incontro con l’assessore alla
casa di Montelupo o con qualcuno dell’amministrazione, ma nessuno si è
fatto trovare. Nelle prossime ore decideremo il da farsi, di certo
questa storia non finisce qui: l’esigenza di un tetto sotto cui vivere
resta, la casa non è un lusso, la casa è un diritto. Gli affitti spesso
sono furti. Lo sfratto senza alternativa è una violenza.

ORDA PRECARIA
COBAS EMPOLI VALDELSA
COMUNITA’ IN RESISTENZA _ EMPOLI

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Rispondere è cortesia

April 12, 2010


Avendo letto un intervento del segretario del PD montelupino Cei,
vogliamo con questo comunicato stampa rispondere.
La crisi del diritto alla casa ha radici profonde e responsabilità
politiche bipartisan. Al segretario del PD Cei ricordiamo che fu
proprio
un governo di centro sinistra a varare la Legge 431/98 che affossò
definitivamente l’equo canone, riducendo la casa a mero bene di mercato
e cancellando il riconoscimento del diritto all’alloggio come diritto
naturale e irrinunciabile per tutti. Non serve autoassolversi guardando
il proprio ombelico ("non può essere il Comune di Montelupo il
responsabile di ogni male
") ma ricercare soluzioni adeguate,
partendo, se necessario, da una presa d’atto dei propri errori. Negli
ultimi dieci anni Montelupo ha costruito troppo e male. La massiccia
espansione urbanistica prodotta da una crescita demografica che ha
sfiorato il 20% (dato più alto dell’intero circondario), non è stata in
grado di produrre un numero adeguato di alloggi popolari.
Se il segretario Cei avesse voglia di leggere ciò che scriviamo da
oltre due anni, si renderebbe conto che la richiesta di un tavolo del
circondario sulla questione abitativa non ha nulla a che vedere con la
ricerca di "corsie preferenziali" per le famiglie che si rivolgono al
nostro sportello, ma vuole sostenere, partendo da una presa d’atto del
problema casa nel circondario, la necessità di soluzioni efficaci
nel breve, medio e lungo periodo. Abbiamo affermato più volte la nostra
contrarietà ad una lettura meramente emergenziale del problema
abitativo perchè si risolve unicamente nel drenare soldi pubblici verso
privati, senza dare alcuna soluzione a chi è vittima del disagio. I
sessanta euro al giorno (1800 euro mensili), pagati per il
trasferimento
di donne e minori in una struttura come quella di Ponte a Cappiano,
servono unicamente a rimandare il problema e ad aggravare le
condizioni sociali della famiglia separandola dal
padre. Dopo un mese di soggiorno nella struttura cosa succede? Se, come
afferma il presidente Cei, ci
sono molti altri casi analoghi, questa spesa mensile (a carico della
collettività) per quanto è destinata a moltiplicarsi? Non è
preferibile
che gli undici comuni del circondario individuino finalmente degli
immobili pubblici in disuso da destinare alle emergenze e in
contemporanea si dotino di un piano casa (degno di questo nome) per
dare una risposta adeguata ai problemi abitativi? Dov’è la demagogia in
tutto questo?
Agli esponenti dei Comunisti Italiani, Rifondazione comunista e
sinistra e libertà presenti in giunta, abbiamo chiesto se considerino
accettabili proposte ed argomentazioni che prefigurino divisioni delle
famiglie o il ritorno nei paesi d’origine (come sempre più
frequentemente viene proposto alle famiglie migranti). La casa è un
diritto da tutelare? Non sarebbe ora che gli interessi pubblici pongano
finalmente un argine a quelli speculativi del mercato immobiliare?
Infine riguardo la vertenza specifica, che ha quantomeno stimolato un
dibattito, diciamo che Mercoledì accompagneremo la famiglia
all’incontro con l’assessorato alla casa del comune di Montelupo, e
ascolteremo quali proposte alternative alla strada saranno fatte. Ad
ogni modo, in mancanza di soluzioni dignitose per la famiglia (che non
possono non prevedere un passaggio da casa a casa), ci troveremo
costretti ad indire un ennesimo picchetto sicurezza per il giorno 21
Aprile, chiedendo in tal caso il sostegno di tutta la comunità in
resistenza, dei movilmenti di lotta per la casa a noi vicini e di tutte
le forze democratiche e solidali del territorio.

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Ancora rinviato lo sfratto a Montelupo… e a Empoli.

April 8, 2010

Ancora rinviato lo sfratto a Montelupo… e a Empoli.

Ancora una volta siamo riusciti a rinviare lo sfratto della famiglia
Majiid di Montelupo fiorentino, ancora una volta grazie ad un
determinato picchetto sicurezza. Lo sfratto, per il momento, è stato
spostato al 21 Aprile. Inoltre anche un’altra famiglia residente a
Empoli e facente riferimento allo sportello sociale, oggi ha visto
rinviato il proprio sfratto.
Vogliamo essere chiari, a scanso di equivoci: lo sportello sociale non
ha mai negato, e continua a non negare il diritto della proprietà a
rientrare in possesso dell’immobile. Ci teniamo a sottolinearlo, ma
vogliamo porre l’attenzione, e tutelare, il diritto alla casa di una
famiglia incolpevolmente morosa, una famiglia che, come tante altre nel
nostro territorio, ha perso il reddito a causa della crisi.
Il comune di Montelupo ha proposto alla famiglia, come "soluzioni",
prima un ritorno in Marocco, poi la sua divisione. Sono entrambe delle
"proposte" inaccettabili dal punto di vista umano, e dunque per quanto
ci riguarda anche dal punto di vista politico. La proposta di ritornare
nel paese di
origine ci appare adeguata più alla lega che ad un’amministrazione
che ha aderito ufficialmente alla manifestazione del Primo Marzo contro
il razzismo e per i diritti dei migranti. Non è accettabile nemmeno la
divisione della famiglia: la povertà, per il momento, non è un reato in
Italia; il problema di questa famiglia è soltanto l’impossibilità di
pagare un canone di affitto del mercato privato.
Non capiamo inoltre il ruolo della cosiddetta "sinistra", che conosce
benissimo questa situazione e non ha ancora preso posizione,
all’interno della giunta montelupina. Chiediamo ai suoi rappresentanti
di chiarire almeno adesso la propria idea, se ne hanno una.
Oggi in Italia le problematiche relative agli sfratti e i diritti
negati in materia di abitare sono in realtà nodi che vengono al
pettine: l’abolizione dell’equo-canone attuato con la legge 431/98 e la
conseguente liberalizzazione del mercato degli affitti hanno fatto
schizzare alle stelle i canoni in tutto il Paese. Un recente studio
sulle variazioni dei costi dell’affitto attuato dalla Federconsumatori
dice che i canoni in Italia dal 2001 al 2009 sono aumentati del 72%. Le
percentuali di alloggi popolari rispetto al totale nel nostro Paese
sono i più bassi d’Europa, il 4%: una percentuale minima se confrontata
con il 40% della Francia, il 36% dell’Olanda o il 21% della Gran
Bretagna.
Tutto ciò, nel contesto di crisi epocale che stiamo vivendo da qualche
anno, provoca da un lato l’aumento esponenziale degli sfratti per
morosità (e dei pignoramenti per insolvenza dei mutui), e dall’altro
rende evidente l’inconsistenza e l’inadeguatezza delle politiche
abitative nazionali e locali.
Rinnovando l’invito al comune di Montelupo ad aprire un tavolo di
trattativa serio riguardo la famiglia Majiid, ci preme sottolineare che
la questione abitativa riguarda l’intero circondario, e che delle
politiche adeguate a fronteggiarla non possono che venire da un’azione
condivisa di tutti i comuni. Visto che la sindaca Rossana Mori ha la
delega alle politiche abitative del circondario, la invitiamo ancora
una volta ad aprire un tavolo territoriale a cui siano invitate anche
le parti sociali.
Gli sfratti esecutivi nei nostri comuni  sono decine ogni settimana, la
situazione è talmente critica che per fronteggiarla urgono misure
eccezionali, come il blocco degli sfratti (sia per finita locazione che
per morosità incolpevole). Chiediamo il blocco della svendita del
patrimonio pubblico esistente e la conversione degli immobili sfitti in
alloggi di emergenza per sfrattati e per le famiglie da anni in
graduatorie stantìe: tali interventi nel medio lungo periodo
costerebbero molto meno (un mese in una casa famiglia costa circa 1600
euro senza risolvere il problema), e costituirebbero una reale
soluzione.
Chiediamo la requisizione degli alloggi lasciati vuoti per speculare, e
un reale controllo sul mercato privato degli affitti.
Lo sportello sociale accompagnerà e sosterrà tutte le famiglie e i
precarie, che hanno il problema dell’accesso al diritto alla casa,
nelle loro lotte.

LA CASA E’ UN DIRITTO
GLI SFRATTI SENZA ALTERNATIVA SONO UNA VIOLENZA

 

Comments Off on Ancora rinviato lo sfratto a Montelupo… e a Empoli.

La nuova generazione

March 26, 2010

Dal dossier Gli Invisibili (dedicato al lavoro autonomo e all’impresa sociale) del secondo numero della Free press romana DINAMO

Terziario avanzato e lavoro autonomo

di Andrea Fumagalli

Che
il mercato del lavoro sia in ebollizione è cosa nota. Non
siamo più nei tempi in cui la stabilità del lavoro
rappresentava una delle poche certezze della vita. Tuttavia,
l’implosione della fabbrica fordista, con il suo carico di
gerarchia, comando, subordinazione e alienazione, non ha liberato
potenzialità e opportunità di vita migliori. Anzi.
Venendo meno la differenza tra tempo di vita e tempo di lavoro, più
che liberare la vita, ha fatto sì che essa sia stata sempre
più sottomessa al ricatto del lavoro.

Tutto
è cominciato alla fine degli anni Settanta, quando le prime
strategie di delocalizzazione (outsourcing) e di snellimento della
grande fabbrica (downsizing) hanno scomposto l’organizzazione
rigida dei siti industriali, prevalentemente situati nel nord-ovest
del paese. Nuove filiere produttive si sono evolute in direzione est
e sud-est. L’asse pedemontano che da Milano arriva a Trieste,
passando per Bergamo Brescia, Verona, Treviso, Udine è
diventato uno dei centri della produzione manifatturiera italiana.
Parimenti, lungo la via Emilia, verso Bologna e lungo la dorsale
adriatica, si è espanso un modello di industrializzazione
diffusa, eminentemente metalmeccanico, specializzato nei rapporti di
subfornitura con le grandi imprese internazionali.

Al
di là delle analisi di comodo (“piccolo è bello!”)
finalizzate all’oblio dei conflitti sociali degli anni Settanta,
si definisce in questo quadro una nuova composizione sociale del
lavoro. In uno dei primi libri che analizzava gli effetti delle
trasformazioni tecno-produttive in epoca post-fordista, Sergio
Bologna aveva coniato la fortunata espressione di lavoro
autonomo di seconda generazione
.
Con essa si intendeva l’emergere di nuove soggettività del
lavoro che andavano oltre la figura tipica del lavoratore salariato
fordista. Si trattava di analizzare e comprendere la nuova filiera
del comando capitalista sul lavoro, nel momento stesso in cui la
centralità della fabbrica, luogo produttivo omogeneo, si
scomponeva e tracimava nel territorio. Il nuovo lavoro autonomo
(appunto di seconda generazione) era adesso funzionale all’attività
di impresa, al capitale, in un contesto in cui la struttura
reticolare di impresa diventava il nuovo modello organizzativo. In
tal modo, si stemperava il conflitto capitale-lavoro e si avviava il
processo di frammentazione del lavoro stesso e delle sue
soggettività. Dal
lavoro subordinato, omogeneo, sindacalmente rappresentabile, si
passava così al lavoro autonomo, formalmente indipendente, ma
eterodiretto, fuori da ogni regola e controllo sindacale.

Negli
ultimi dieci anni, dopo una crescita quantitativa negli anni Settanta
e Ottanta, le statistiche ufficiali ci dicono che formalmente il
numero dei lavoratori autonomi si è ridotto, quasi a
significarne la decadenza. In
realtà, se svolgiamo un’analisi rigorosa, ci accorgiamo che
è fortemente aumentato il numero delle piccolissime imprese
con meno di tre addetti.

L’Istat considera tali imprese come attività imprenditoriali
vere e proprie. Il
37,4% degli occupati nell’economia di mercato, pari a circa 5,5
milioni di persone, lavora in cosiddette “imprese” la cui
dimensione media non supera i 2,7 addetti. Il numero di tali
microimprese fa sì che l’Italia si collochi al primo posto
per
la percentuale di addetti in microimprese (47% del totale)
,
davanti alla Polonia
(41%),
al Portogallo
(40%)
e alla Spagna
(39%).
Ora, l’impresa capitalistica si definisce per tre gradi di libertà:
di decidere come produrre, quanto produrre e il prezzo a cui
produrre. La stessa Istat calcola che gli imprenditori con tali
caratteristiche non siano più di 440.00 unità.

Ne
consegue che la stragrande maggioranza delle microimprese non
appartengono alla sfera del capitale, bensì a quella del
lavoro
.
In altre parole, il mondo del lavoro è oggi costituito da una
moltitudine di soggetti: lavoro dipendente, lavoro formalmente
autonomo ma eterodiretto, microimprese incatenate alla filiera di
subfornitura. Iniziare a ragionare in questi termini, ci
consentirebbe di cominciare un ragionamento di ricomposizione sociale
e politica a partire dal tema di un’unica e omogenea protezione
sociale e di un unico sistema di tassazione (welfare metropolitano).

Nel
corso degli anni Novanta e del primo decennio del Duemila, la fase
postfordista ha termine per lasciare spazio all’avvio vero e
proprio del capitalismo cognitivo. Il
nuovo paradigma socio-economico, basato sullo sfruttamento delle
dinamiche di apprendimento (generazione di
knowledge)
e di rete (sua diffusione), si caratterizza per una forte
specializzazione verso le produzioni immateriali, in un contesto di
organizzazione del lavoro che fa perno sul rapporto contradditorio
tra cooperazione e gerarchia
:
la prima nasce dalla natura sociale dei processi di rete e di
apprendimento, la seconda deriva dalla crescente precarietà
del lavoro e dalla sua condizione esistenziale di subalternità
e ricattabilità. In
questo contesto il lavoro autonomo di seconda generazione inizia a
cambiare fisionomia. Nuove soggettività si sviluppano e la
composizione sociale tende a modificarsi. La classica figura del
lavoratore autonomo inserito nella filiera dei servizi materiali alle
imprese, legata alla logistica delle merci, si compenetra con la
crescita, non sempre lineare, di un terziario immateriale legato alla
creazione e alla circolazione degli immaginari, dei linguaggi e dei
simboli (editoria, media, software, design, servizi finanziari e
immobiliari, ecc.).

Nelle realtà più avanzate, come a Milano, più
del 35% del valore aggiunto viene prodotto nel terziario immateriale
avanzato, contro un 32% dei servizi legati alla merce e una quota
inferiore al 30% per le attività industriali. E’ nel
terziario immateriale che si definisce una nuova figura di lavoro
autonomo di “terza” generazione. Essa è costituita da
soggetti giovani, prevalentemente di genere femminile (processo di
femminilizzazione del lavoro), con un grado di cultura medio alto
(processo di scolarizzazione di massa). A differenza di quella
precedente, questa generazione non ha alle spalle una tradizione di
lavoro subordinato-stabile: essa entra nel mercato del lavoro in una
posizione che è subito di precarietà e incertezza. Non
ha alle spalle una tradizione di lotte per la conquista di diritti
sociali e di cittadinanza. Le tipologie contrattuali sono sempre più
un misto tra subordinazione effettiva e indipendenza formale, sul
crinale della parasubordinazione, della partita Iva, dello stage. In
un contesto di lavoro cognitivo-relazionale, inoltre, la separazione
tra vita e lavoro, tra lavoro vivo e lavoro morto, diventa sempre più
esigua.

È
su questo crinale che si gioca da un lato la ricattabilità del
lavoro e dall’altro l’illusione del successo. E’ su questo
crinale, che è necessario fondare una nuova politica di
welfare, che sulla garanzia di accesso ai beni comuni e alla
continuità di reddito definisca i suoi cardini principali.

Sacarica il secondo numero della FreePress DINAMO

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Nel circondario la crisi è di casa!

March 22, 2010

Torniamo a rendere pubblici i preoccupanti numeri che riguardano gli
sfratti nel territorio dell’empolese-valdelsa. Lo sportello sociale,
che assiste molte famiglie nei percorsi di conquista del diritto alla
casa, in questa settimana si troverà di fronte ben quattro sfratti,
tutti tra martedì 23 Marzo e giovedì 25 marzo. Uno (domani) riguarda
una famiglia residente a San Miniato, gli altri tre sono a Empoli. Ma
non tutte le famiglie in difficoltà fanno riferimento allo sportello
sociale, e i numeri sono ben più alti: sono decine e decine gli sfratti
esecutivi ogni settimana nel circondario, e colpiscono famiglie
italiane e migranti.
Lo sportello sociale non effettuerà picchetti sicurezza, ma
accompagnerà le famiglie che fanno riferimento ad esso nelle trattative
con gli ufficiali giudiziari e soprattutto con le amministrazioni
comunali. Sono le amministrazioni che hanno i mezzi e che sono chiamate
a garantire il diritto alla casa di tutti i cittadini,
indipendentemente dalla provenienza o dalla situazione di difficoltà
economica.
Invitiamo le famiglie e i precari in difficoltà nell’accedere al
diritto alla casa ad organizzarsi, poiché solo dietro la spinta di un
forte movimento sociale le istanze di diritto ad una vita dignitosa,
oggi, possono essere poste in essere: OrdaPrecaira e Cobas offrono in
tal senso lo sportello sociale gratuito tutti i mercoledì sera negli
spazi del cs Intifada in via 25 Aprile a Ponte a Elsa.

Chiediamo agli unici che potrebbero agire contro gli sfratti, cioè agli
amministratori ed al sindaco in primis, di bloccare seriamente, con
ordinanza,
l’esecuzione degli sfratti sia per morosità che per finita locazione.
In alternativa chiediamo di esercitare la sua possibilità
di requisire le case sfitte, o comunque di reperire alloggi nel mercato
privato o dal patrimonio pubblico in abbandono, da destinare ad alloggi
di emergenza per sfrattati.

Uno degli sfratti, quello del 24 Marzo, è contro la famiglia Rahim, che
grazie ad un picchetto sicurezza il mese scorso riuscì a strappare un
rinvio temporaneo. In questo mese l’unica "soluzione" che il comune e
l’assessorato alla casa hanno trovato, è un alloggio, ancora non si sa
se pubblico o di un privato (in tal caso i costi graverebbero sulle
casse comunali e dunque su tutta la cittadinanza), ma solo fino al 30
Aprile: e poi? Un tetto sopra la testa non è un’esigenza di cui le
famiglie hanno bisogno una tantum, ma quotidianamente, non si può
vivere perennemente con il ricatto della precarietà abitativa.
Come si può pensare di risolvere in questo modo il problema casa?

CONTRO LA CRISI BLOCCO DEGLI SFRATTI
ALLOGGI PUBBLICI A CANONI SOCIALI PER CHI E’ COLPITO DALLA CRISI

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